La Compagnia dei Morlacchi
Dopo un mese di assedio, il 21 di Agosto 1480, Otranto cadeva in mano ai Turchi di Maometto II; tra i sovrani e comuni che risposero alla chiamata alle armi di papa Sisto IV ci furono Ferdinando re di Napoli e suo figlio, Alfonso duca di Calabria.
Quest’ultimo ingaggiò , come comandante di terra, il condottiero Osimano Boccolino Guzzoni noto per il servizio prestato a Carlo il Temerario, duca di Borgogna, nel 1476 e per aver sconfitto gli Anconetani nella celebre “Battaja dellu porcu”, dove respinse gli invasori forti di 4000 fanti armando 800 suoi concittadini.
La guerra contro i Turchi si protrasse per circa un anno, finchè nel settembre 1481, l’esercito di “liberazione”, complice la morte di Maometto II, ebbe la meglio riconquistando Otranto.
“A Boccolino, che ricevette dal re di Napoli Ferdinando il titolo di “Cavaliere della Real Casa”, fu assegnata, per il servizio prestato una compagnia di Morlacchi, che seguirà il nuovo condottiero in tutte le sue imprese future” (1).
Il Guzzoni potè mettere in mostra il suo nuovo esercito subito dopo l’espugnazione di Otranto, infatti, nel 1482 scoppiò la guerra fra i Veneziani ed Ercole I d’Este di Ferrara “incolpandolo di far preparare sale in Comacchio, di esigere un dazio sulle banche veneziane che portavano sale su per il Po, e di più di non aver abbastanza protetto il visdomino veneziano residente in Ferrara” (2).
La guerra ruppe l’equilibrio politico che si era formato dopo la pace di Lodi e vide formarsi due fazioni: Venezia schierata con papa Sisto IV, con Roberto Malatesta capitano generale e Roberto Sanseverino luogotente, in aiuto di Ercole I accorsero i Fiorentini, Ludovico Sforza ed il re di Napoli Ferdinando che inviò suo figlio Alfonso, duca di Calabria; Federico da Montefeltro venne nominato generale di questa lega.
Alfonso chiamò al suo fianco il fidato Boccolino con i suoi Morlacchi ma anziché puntare verso Ferrara, preferirono invadere le terre papali, subito dopo Sisto IV operò un clamoroso voltafaccia, alleandosi con il re di Napoli e lanciando l’interdetto contro la Repubblica Veneziana; a questo punto il condottiero Osimano, finora acerrimo nemico del pontefice, diventa partigiano dello stesso e nel 1484 viene insignito da Sisto IV del titolo di “Conte del Poggio”.
La “Guerra del Sale” stava volgendo al termine e la relativa pace venne conclusa a Bagnolo il 7 di Agosto 1484; pochi giorni dopo morivano, quasi contemporaneamente, papa Sisto IV ed il padre di Boccolino Guzzoni, gonfaloniere della città di Osimo.
Il condottiero subito ritornò in patria, ma ci restò ben poco, infatti venne chiamato dai Fermani nella loro guerra contro Ascoli per il possesso del castello di Monte San Pietrangeli; Boccolino accorse con una compagnia di trecento balestrieri, formata dai suoi Morlacchi e da concittadini.
Nell’Ottobre del 1485 i baroni del re di Napoli strinsero una congiura contro il loro sovrano, alleandosi con il papa, Genova e Venezia; la guerra civile scoppiò quando l’Aquila si diede al papa, a questo punto Alfonso invitò ufficialmente il Guzzoni ad entrare nella lega formata dagli Orsini, da Lorenzo dè Medici e da Lodovico il Moro, il 29 di Marzo 1486 furono inviate a Boccolino le istruzioni riguardanti tale impresa, con le quali gli venivano promessi “armati e buono stipendio e gli si concedeva di mettere in libertà la Terra di Osimo, ossia di sottrarla al dominio del Papa ed ecclesiastico a condizione che non si venga mai a patti col Papa senza intesa del duca e del re”(3).
Nel frattempo re Ferdinando aveva trovato un accordo con Innocenzo VIII, e di conseguenza veniva meno la necessità di intervento da parte di Boccolino e dei suoi Morlacchi. Il proposito di Boccolino era quello di impadronirsi della città di Osimo, instaurandovi una signoria; l’occasione per raggiungere tale obiettivo, la ebbe il 2 di Aprile del 1486 quando i priori di Osimo lo convocarono per chiarimenti nel palazzo comunale, di certo le ultime gesta e la venuta di soldati stranieri avevano insospettito i nobili osimani.
Boccolino, in un primo tempo, declinò l’invito, ma poi, forse convinto dai suoi sostenitori si decise a partecipare a “modo suo”; richiamò i suoi cento Morlacchi stanziati nella villa Montegallo e si recò al palazzo comunale “homo militare et cavaliero armato de una corazina et de uno stoccho”, in breve sei dei magnifici priori caddero sotto i colpi dei seguaci del condottiero, che, salito a cavallo ed accompagnato dai suoi Morlacchi inseguì ed uccisi altri suoi oppositori, lasciandosi dietro una scia di misfatti , osannato dal popolo che amava i suoi ideali.
Ebbe cosi inizio più di un anno di assedio da parte delle truppe pontificie e di molte altre città marchigiane, Boccolino cercò alleati ovunque, chiese aiuto persino all’imperatore dei Turchi Bajazet II , venne sostenuto ed aiutato da Lorenzo il Magnifico che lo convinse a cedere la città, accogliendolo e proteggendolo nella sua Firenze. Il 2 di agosto del 1487, Boccolino usci per l’ultima volta da Osimo con i suoi Morlacchi e si diresse, prima a Pesaro, dove venne lasciato dai papalini, poi a Firenze dove dimorò fino alla fine dell’anno.
Nel 1488 lasciò Firenze e grazie alla sua fama ed alle lettere favorevoli del Trivulzio, venne accettato ai servigi di Ludovico il Moro, signore di Milano, col titolo di capitano d’armi.
Nel settembre del 1488, il condottiero osimano prese Savona in nome del Moro e la sua reputazione crebbe a dismisura; nel 1490 si congedò da Ludovico, ma per breve tempo, difatti non riuscendo a vivere senza combattere ritornò tra le braccia del duca.
Ogni vittoria incrementava la fama di Boccolino e dei suoi Morlacchi, ma in egual misura cresceva l’invidia ed il risentimento di chi era vicino al signore di Milano; in breve la generosità e la benevolenza si trasformarono in sospetto e diffidenza, ci volle ben poco per accusare Boccolino di tradimento.
Il 14 di giugno del 1494 venne impiccato in piazza, dopo ben sei mesi di prigionia e torture; non poche però sono le testimonianze nelle quali si dice che Boccolino da Guzzone rifiutando la corda del boia, si gettò dalle scale morendo sul colpo.
Dal 1490 non si hanno più notizie dei suoi cento Morlacchi, di certo si hanno notizie di un loro ritorno ad Osimo nel 1498, dove , essendo restati armati ,si impose loro di vivere sub legibus.
I pastori provenienti dalla dalmazia rimasero a lavorare le terre del loro condottiero, dando vita a molte delle odierne famiglie che oggi vivono ad Osimo.
Boccolino Guzzoni
Nota: questo testo è tratto dal sito Condottieri di Ventura
La Compagnia dei Morlacchi ispira la propria attività alle vicende del celebre condottiero osimano Boccolino Guzzoni, conosciuto come Bocolino da Osimo, capitano di ventura al soldo dei vari signori e potenti che animarono la vita italiana della seconda metà del XV secolo.
Molto sappiamo di Boccolino, ma solo dal momento in cui guidò la sua prima condotta fino alla sua drammatica morte; nulla invece ci è dato sapere di quanto accaduto prima del 1476, anno in cui, anno in cui alla guida di 50 cavalli e 50 fanti servì il signore di Borgogna, Carlo il Temerario, nella campagna contro i Cantoni Svizzeri. Di certo Bococlino fu a Milano, benché osimano di natali. Da qui comincia la sua vicenda e con essa, la sua parabola che, proprio nella città meneghina, si concluse, a concludere il cerchio delle sue umane cose.
È il 1477 quando Boccolino, a seguito della morte del duca Carlo di Borgogna, si vede costretto a rientrare nella città natale, per due ordini di ragioni: familiari da un lato, politiche dall’altro, per via dei contrasti che contrapponevano il Comune di Osimo a quello di Ancona.
Nel corso della campagna che ne seguì, si compì quell’impresa che è la più celebrata ed ardimentosa del Guzzoni: mentre il contingente nemico, forte di 4000 uomini comandati da Astorgio Scottivoli, depredava il territorio vicino a Cesa ed i suoi possedimenti di Monte Gallo, Boccolino, uscito da Osimo con 800 armati per affrontare gli avversari tra Santo Stefano e Bellafiora, a causa della dispersione della milizia anconetana, affrontò le truppe dello Zampino, che disponeva di molti fanti armati di schioppetti, spingarde e balestre, obbligando con la sua azione gli altri reparti avversari a lasciare le loro posizioni originarie, al fine di prestare soccorso contingente in difficoltà.
Quando costoro si precipitarono alle spalle degli osimani, il Guzzoni li colse alla sprovvista dalle truppe di riserva che lo stesso Boccolino aveva nascosto in precedenza nel fosso di San Valentino. Gli anconetani, attaccati alle spalle, furono costretti a ritirarsi lasciando sul terreno 200 morti, contro 30 uomini di parte osimana. Il Guzzoni rientrò trionfante in Osimo con lo stendardo maggiore di Ancona e 200 prigionieri.
Da questa impresa, la sua notorietà e il suo onore: al soldo di Firenze contro la Chiesa, poco dopo la sua impresa, quindi al servizio del re di Napoli contro le truppe ottomane nel 1481, mentre frattanto l’ostilità del Papato nei confronti della sua condotta lo vede vittima dei primi provvedimenti a suo carico.
Distintosi all’assedio di Otranto con l’uccisione in duello di un capitano avversario, venne armato cavaliere dallo stesso re Ferrante d’Aragona: alla fine della campagna, Boccolino contava ai suoi ordini 100 cavalli morlacchi.
L’anno seguente restò sempre al servizio del sovrano aragonese, impiegato in gualdane contro i territori laziali del Papato. Passato però al servizio di quest’ultimo, l’anno seguente affrontò i Veneziani e per i servigi resi vene investito del titolo di Conte di Poggio.
Il 1484 funestò però il lieto accadimento dell’investitura con la morte del padre di lui: Boccolino fece pertanto ritorno ad Osimo e da lì, in forza alle truppe di Fermo, combatté contro Ascoli Piceno, assieme al suo contingente morlacco.
La sua auge era in ascesa: l’anno seguente ottenne la nomina a gonfaloniere di Osimo, quindi un nuovo stipendio, quello di Innocenzo VIII contro le truppe aragonesi. A seguire, il papa lo elevò governatore di Osimo, concedendogli in concomitanza, il comando di 500 uomini . Boccolino pertanto divenne di fatto arbitro delle sorti della sua città.
La fiducia del pontefice tuttavia non significò per il condottiero osimano solo gloria: ben presto, i contrasti con il commissario pontificio Pierdomenico Leopardi. Il pretesto del suo matrimonio ne permette il ritorno in Osimo e, nell’anno successivo, un ulteriore passaggio, quello, a ranghi invertiti, al soldo del re di Napoli contro il Papato. Questa condotta ebbe gravi ripercussioni sul potere politico di Boccolino, poiché i priori di Osimo ne ordinarono la convocazione a cui, per tutta risposta, il Guzzoni fece seguire il suo ingresso in armi in città: uccisi alcuni consiglieri, dispose il saccheggio delle loro dimore e si impadronì della fortezza del Cassaro. In risposta a ciò, il governatore della Marca anconetana, Ludovico Agnelli, sostenendo i fuoriusciti, tentò, inutilmente, di ridurre in suo potere Osimo.
L’essere signore di un comune dello Stato Pontificio mentre era al soldo aragonese non era dunque circostanza senza rischi. Anche i veneziani, infatti, si opposero al Guzzoni, prima in maniera pacifica, tentnato una mediazione ad opera di Giulio Cesare da Varano, quindi, formalmente, in seguito alla scomunica papale. La risposta di Boccolino fu semplice e arguta: un rafforzamento delle difese e delle truppe in Osimo.
Alla conclusione della guerra, nel 1486, Boccolino si accordò con l’ambasciatore del duca di Urbino, Guidobaldo da Montefeltro, promettendo di restituire Osimo in cambio della cessazione di ogni persecuzione, ma ne ottenne solo il silenzio dei pontifici. La ripresa delle armi fu la sola via. Sconfitto a Vaccaro, stretto sempre più da vicino dagli avversari, il Guzzoni tentò di rovesciare le sue sorti, spedendo come suoi ambasciatori a Costantinopoli i nipoti, per chiedere soccorsi al sultano. Inviò poi a Costantinopoli anche un altro nipote, quando seppe che i precedenti emissari erano stati catturati con la risposta, ma pure il terzo ambasciatore venne catturato.
Si ebbe così guerra aperta tra il ribelle e riottoso Guzzoni e l’autorità pontificia. con la scesa in campo del cardinale Giuliano della Rovere, capitano delle truppe apostoliche, il cerchio si strinse attorno ad Osimo dove Boccolino, assediato, resistette con ogni mezzo, principalmente scaramucce, all’assedio, pur tra alterne vicende, che videro ulteriori memorabili imprese dovute al suo impeto e all’intrepido coraggio. Il numero soverchiante e l’abilità del succeduto comandante.
Gian Giacomo da Trivulzio, ebbero ragione di tanta veemenza, sicché il Guzzoni si accordò per l’abbandono di Osimo, in cambio di una forte somma di denaro e la propria traduzione a Firenze.
Con la concessione della cittadinanza della capitale toscana, nel Dicembre del 1487, la parabola discendente del Guzzoni era ormai inequivocabilmente segnata. Eppure non mancò mai al nostro condottiero l’ardore e e la baldanza della prima ora: al soldo sforzesco combatté sotto i colori milanesi in Liguria, occupando Savona e il suo arsenale con un’azione irruente e ardita.
Boccolino però era ormai vittima del suo stesso temperamento. Le notizie su di lui, a partire dal 1490, anno del suo congedo dallo stipendio del duca di Milano, divennero lacunose.
Lo si ritrova nel 1493 caduto definitivamente in disgrazia: al Guzzoni vennero confiscati i suoi beni, quindi venne imprigionato nel Castello Sforzesco e persino torturato per sei mesi, con l’accusa di avere partecipato ad una congiura a favore degli aragonesi .
In breve se ne compì il destino. Non sopportando di essere giustiziato dalle mani del boia, nel Giugno del 1494 Boccolino da Osimo preferì impiccarsi da solo nel piazzale del Castello Sforzesco.